sabato 8 marzo 2014

Funüjie: Donne italiane in Cina -Parte 1-


A: Ciao a tutti! Come l’anno scorso, abbiamo deciso di dedicare il mese di marzo allo yin e allo yang, alle fenici e ai draghi. Oggi per celebrare la festa internazionale della donna abbiamo deciso di intervistare una giovane donna piena di energie che ha deciso di lavorare a stretto contatto con la Cina. Benvenuta Emme, raccontaci qualcosa di te!

M: Ciao a tutti i lettori di “Nel Segno del Maiale”, mi chiamo Maria Gabriella anche se tutti quanti ormai, anche a lavoro, mi conoscono come MG. Mi sono laureata due anni fa a Ca’ Foscari in cinese, per la precisazione in Lingue ed Istituzioni Economiche e Giuridiche dell’Asia Orientale, un percorso a mio parere molto concreto che mi permettesse di avere delle aspettative lavorative un po’ più sicure.

A: Come mai hai deciso di avvicinarti alla Cina e di studiare cinese?

M: E’ stata una scelta ad esclusione: appena ho terminato il liceo non avevo la più pallida idea di cosa fosse la Cina; ne conoscevo solo la capitale, Pechino, ma dove si trovasse, era un vero mistero. Sapevo però di essere abbastanza portata per le lingue straniere, il piano formativo di Ca’ Foscari offriva una vasta gamma di lingue ma l’unica che prevedeva un percorso giuridico-economico era appunto il percorso in LISAO.

A: Come è stato il tuo primo viaggio in Cina?

M: Il primo viaggio in Cina è stata una bella sorpresa perché, nonostante alcuni dei docenti in Italia fossero madrelingua cinesi e quindi  noi studenti avessimo già avuto un approccio alla cultura e alla società cinese, non sapevo bene cosa aspettarmi. La realtà poi ha di gran lunga superato le aspettative e ammetto di essere tornata in Italia a malincuore! 
Dal punto di vista linguistico, l’impatto è stato quasi scioccante: mi aspettavo che dopo tre anni di studio riuscissi a comunicare abbastanza liberamente con i cinesi, invece, una volta arrivata a Pechino, mi sono resa conto che quello che avevo imparato fino a quel momento con buoni risultati e soprattutto, sudando sette camicie, era poco più che appena sufficiente per sostenere una normale conversazione.

A: Ci sono stati degli eventi che ti sono accaduti che hanno messo in luce la difficoltà nella comunicazione?

M: I primi episodi che mi vengono in mente sono legati ai taxi: mi capitava di chiedere di essere portata in un determinato posto, la mia pronuncia probabilmente non era a livelli ottimali e il tassista di turno non provava nemmeno a venirmi incontro per capire dove volessi andare.  Alla fine non restava altro da fare che aprire lo sportello, ringraziare e salire su un altro taxi. Della serie: “ritenta ancora sarai più fortunato” …

A: E’ una cosa che succede spesso …

M: … e le prime volte, chiaramente, non capisci nemmeno cosa tu stia sbagliando, ma presto te ne fai una ragione. Questo, però, ti spinge indubbiamente a migliorarti perché altrimenti non vai letteralmente da nessuna parte!

A: E’ anche vero che ci sono quei tassisti che hanno talmente tanta voglia di parlare, perché incuriositi dallo straniero, che a volte è difficile scendere dal taxi!

M: Esatto! Per esempio, adoravo quando iniziavano ad elencarmi tutti i giocatori di una particolare squadra o di tutte le squadre italiane o, addirittura, quando mi cantavano le arie delle più importanti opere italiane! I migliori tenori che io abbia mai conosciuto sono al volante di un taxi in Cina! 

A: Qual è stato il tuo percorso quando sei tornata in Italia?

M: La prima volta che sono tornata dalla Cina, in realtà, non mi sono fermata a lungo in Italia: durante la mia permanenza a Pechino avevo trovato un contatto per uno stage alla Camera di Commercio Italiana. Tempo di discutere la tesi triennale a Venezia ed ero già in partenza sul primo aereo per la Cina di ritorno nella metropoli. Questa volta per lavoro. 

A: Che differenza c'è tra studiare e lavorare in Cina?

M: Diciamo che, per quanto mi riguarda, la mia situazione era particolare: lavorando in 
un’istituzione italiana, ero naturalmente circondata da italiani. Ciò non toglie che comunque i ritmi lavorativi fossero totalmente diversi: la domenica, ad esempio, anche se per noi della Camera di Commercio era festiva, a volte non esisteva. In Cina poi non esistono orari, le chiamate di lavoro delle nove o alle dieci di sera, così come quelle delle sette e mezza di mattina sono all’ordine del giorno e non bisogna stupirsi. 

A: E dopo le prime esperienze in Cina, come è proseguito il tuo percorso?

M: Finiti gli studi e conseguita la laurea magistrale, è iniziata l'avventura lavorativa in Italia. Nonostante fossi consapevole della crisi che affligge il nostro Paese, ho provato a trovare un lavoro che fosse più o meno vicino a casa. Sono stata fortunata: sfruttando la competenza del cinese ho inizialmente lavorato in una azienda per circa un anno come commerciale estero. In seguito, ho abbandonato quel percorso e, grazie ad un po' di fortuna e alla giusta tempistica, sono stata selezionata tramite un concorso dall'Istituto Confucio qui a Venezia per un breve percorso di interpretariato e insegnamento della lingua cinese a livello base. 

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