domenica 20 ottobre 2013

Wushu!

Tutti coloro che almeno una volta nella loro vita sono partiti per un lungo viaggio e hanno vissuto persone e luoghi diversi, una volta tornati a casa hanno provato un sensazione di vuoto come se avessero lasciato indietro una parte di sé. Uno stato d’animo che spesso s’impossessa di quelli che vivono la Cina intensamente e che fa crescere il desiderio di ritornarci.
Ma a volte non ci rendiamo conto che, pur essendo il Regno di Mezzo lontano migliaia di chilometri, ci sono luoghi e persone qui in Italia che ci regalano le stesse atmosfere e ci fanno rivivere questa cultura millenaria. E’ questa la meravigliosa sensazione che ho avuto neanche una settimana fa quando ho fatto visita all’Istituto di Wushu di Firenze (http://www.wushufirenze.com/) e al suo presidente, nonché maestro, Giuseppe Gualdani che ci ha accolti a braccia aperte e ci ha raccontato la sua storia e soprattutto del wǔshù 武术, le arti marziali cinesi.  

A: Ciao Giuseppe, grazie per averci invitati nella sede dell’Istituto di Wushu di Firenze. E’ davvero molto bella e ricrea alla perfezione l’atmosfera che si può vivere nelle palestre cinesi. Mi piacerebbe sapere come e quando è nato.

G: Nel 1978 a seguito della diffusione del cinema d’azione asiatico (gongfu pian) il mio primo insegnante Riccardo si mise alla ricerca di un maestro di wushu, per diventare come gli eroi del cinema, un esperto di Gongfu. Da allora ci siamo rimboccati le maniche e nel 1988 abbiamo fondato l’attuale associazione “Istituto di Wushu della città di Firenze”; tra i soci fondatori c’era anche il nostro insegnante Prof. Liu Xueqian che proveniva dall'università di Chongqing, membro della squadra nazionale cinese e compagno di stanza, ai tempi delle competizioni, del famoso Jet Li (Li Lianjie).
Nel 1998 abbiamo pensato di dare 
forma al nostro progetto, che fino ad allora si svolgeva alla sera nei locali di una scuola pubblica: ci siamo dotati di una sede propria, non l’attuale, ma una struttura di 600 mq che abbiamo dovuto poi abbandonare e ci siamo trasferiti nell’attuale sede dove sei venuto a trovarci.

A: Quando è iniziato il tuo percorso nel Wushu? Raccontaci da cosa è nata la tua passione.

G: Nel 1979 all’età di 16 anni volevo diventare, come una parte dei miei coetanei, un eroe del kungfu (wushu): mi iscrissi insieme ad un’amico alla scuola e iniziai il mio percorso nelle arti marziali cinesi. Agli inizi era solo allenamento e voglia di imparare un’arte per difendersi (gli anni ’80 erano rissosi!); poi gradualmente mi sono avvicinato, complice il mio Maestro Riccardo, alla Cina. Ho conosciuto molti insegnanti cinesi e lentamente mi sono ammalato di Cina: letture, cinema, teatro, ogni occasione era buona per conoscere il continente asiatico, il wushu era diventato parte della mia vita.

A: Ho avuto la fortuna di assistere ad una tua lezione: assolutamente fantastica! Ciò che mi ha affascinato di più è il tuo metodo d’insegnamento: a differenza di altri utilizzi il cinese per indicare le posizioni agli allievi che, nonostante non sappiano la lingua, eseguono i movimenti senza fare una piega. Da cosa è nato questo metodo innovativo?

G: Ho sempre pensato che, se vuoi conoscere un paese ed i suoi abitanti, devi mangiare con loro e parlare usando la loro lingua e questo è ciò che ho fatto. Ho pranzato e parlato (poco) con loro  e da questo sono giunto alla considerazione che per trasmettere il contenuto di un’arte tradizionale come il wushu fosse importante la lingua d’origine. Riccardo il mio primo insegnante ha costruito molto questo pensiero. Alla fine degli anni 80 (tra ’88 e ’90) il nostro insegnate cinese Liu Xueqian ha vissuto con noi due anni: abbiamo lavorato gomito a gomito sulla traduzione di molti testi, si traduceva con un dizionario e tanta pazienza. La lingua inoltre è molto musicale  e rende l’esecuzione più reale, avvicinandoti al paese d’origine e ricreando l’atmosfera dove tutto è nato. Sei un po’ cinese mentre ti alleni e questo non è male.

A: Mi hai detto che hai avuto insegnanti di wushu cinesi e collabori tuttora con loro. Che cosa hai imparato da loro e quali sono state le opportunità/difficoltà di questo scambio culturale?

G: Dal 1987, anno in cui ci siamo indirizzati sul wushu nazionale cinese, abbiamo collaborato con molti insegnanti. Ognuno di loro è stato un tassello importante del pensiero che si è sviluppato fino ad oggi. I vantaggi? sono stati quelli di capire o meglio cercar di capire quale sia il modo di pensare di un cinese, come vive la sua disciplina, cosa pensa sia per noi questo mondo affascinante dell’Oriente. Conoscere per comprendere. Potrei raccontare mille aneddoti di relazione con la comunità cinese di Firenze e Prato, in cui si evidenziano le difficoltà, le differenze culturali, che ancora non si sono affrontate. Manca, ad esempio, alla più numerosa comunità cinese europea un luogo d’incontro di diffusione della loro cultura, dove loro stessi possano ritrovare la loro tradizione; le seconde generazioni sentono questo limite ma niente viene fatto. Da anni cerco di portare avanti quest' idea: un luogo ideale dove il teatro regionale, più che la cantante pop del momento, sia condiviso con il resto della cittadinanza per avvicinarci alla loro cultura. La Cina non è solo business.

A: Recentemente in Italia c’è stato il boom delle ‘scuole’ di wushu. Secondo te, a cosa è dovuto? Che cosa ne pensi? 

G: Il cinema (La tigre ed il dragone) e i cartoni animati (Kung Fu Panda) hanno avvicinato le persone al wushu ed alla Cina. Le scuole come la nostra da breve tempo (noi abbiamo iniziato nel ’98) insegnano a classi di bambini: i genitori chiedono discipline come le arti marziali, cercano il rito confuciano. Mi dicono: "ci piace perché  insegnate loro la disciplina, il rispetto ecc. fate molta 'ginnastica' e vi prendete cura della loro crescita". Prima c’era il Riben Wushu (le arti marziali giapponesi), ora il Zhong guo Wushu: la Cina conquista l’immaginario collettivo! La diffusione del wushu è ormai iniziata, la setta dei “turbanti rossi” conquista le città, la Cina spinge a questa diffusione, senza fare da filtro. Questo permette negli anni ’80/’90 la diffusione di sistemi non “ortodossi”. Siamo nel millennio dell’informazione in cui tutti pensano di sapere tutto, ma il wushu è un'arte tradizionale, come quella nostra del restauro. Non si chiede ad un musicista di fare presto; perché un insegnante di scuola studia molte ore al giorno per alcuni anni? Perchè occorre tempo per raggiungere un grado di conoscenza alto e sopratutto per poter insegnare. In Cina si dice che "il tempo ed un lavoro paziente rendono una sbarra di ferro un ago per cucire": questo è il wushu. I rischi sono di far perdere l’orizzonte alle persone che non comprendono la disciplina e non capiscono la Cina, tutte e due parte del pensiero wushu. E’ vero che anche questo modo di affrontare le cose è tutto cinese: vuoi fare shaolin, perché negli anni 80 una serie televisiva lo ha portato in tutte le case? Bene noi (Governo cinese) ricostruiamo il tempio, ti facciamo gli alberghi e ti rilasciamo anche i diplomi ... this is China.

A: Qual è l’età migliore per iniziare? Perché lo consiglieresti come sport? Come bisogna essere mentalmente e fisicamente per affrontare questo sport?

G: Come rispondo sempre non esiste un’età migliore, ma un momento in cui si decide di studiare il wushu. L’agonismo, e da noi in Italia non è così spinto, ci può far considerare come fascia d’età migliore per iniziare la pratica quella tra gli 8 e i 9 anni. Il wushu è educazione al movimento, cura del corpo, allenamento del pensiero, ha risposte a tutto quello di cui un occidentale può sentire il bisogno nello stress della modernità ... è un metodo antico per la vita moderna, per questo lo consiglierei a tutti.I programmi nazionali di studio (associazione cinese di wushu) a cui noi facciamo riferimento sono fatti per essere affrontati da tutti, dotati e non. Il gongfu si raggiunge con il tempo e la dedizione alla disciplina. Il M° Zhang GuangDe ci ha sempre detto: “cinque minuti al giorno sono meglio di un’ora occasionale”.
Chi si avvicina al wushu trova una disciplina densa di cultura e tradizione, affascinante, appagante nella sua varietà di gesti; lo studio delle armi, il combattimento, le forme di gruppo o lo studio singolo, ogni aspetto di questa disciplina è coinvolgente! Ricordiamo che prima di tutto il wushu è allenamento e ripetizione e come dice l’amico Smolari (serpentebianco.org) “il wushu non si parla, si allena!”.






domenica 13 ottobre 2013

Chongyangjie


Iniziamo questo nuovo post con una domanda e fate ben attenzione perché la risposta non è così elementare: 9 x 2? La risposta non è 18…
Pensate che abbia mangiato troppe tortine della luna?! In effetti…
In realtà, ho usato un’operazione matematica perché oggi vorrei introdurre la festa Chóngyáng 重阳 che cade il nono giorno del nono mese lunare e, per questo, è anche conosciuta come la Festa del Doppio Nove. Ora capite il perché della complicatissima moltiplicazione!

La Chóngyángjié 重阳节 non è famosa come le altre feste tradizionali ma ciò non vuol dire che sia meno importante: infatti, nel corso dei secoli ha assunto le caratteristiche di una celebrazione tutta dedicata agli anziani tanto da essere stata ufficializzata come tale dal governo cinese nel 1989. Ed è così che in questa giornata si coinvolgono i parenti più vecchi in attività all’aperto, come picnic, gite al parco e... scalate in montagna!
Si dice che in questa giornata scalare montagne (ma, se non siete agili come degli stambecchi, vanno bene anche le colline) garantisca felicità e longevità. Non a caso il doppio nove in cinese si dice 九九 jiǔjiǔ come 久久 jiǔjiǔ, che significa appunto a lungo, longevo. Simpatico, vero?!

Comunque, se siete alla ricerca di qualche anno in più di giovinezza e siete troppo pigri per una gita sui monti, c’è sempre il piano B: potete mangiare la 重阳糕 Chóngyáng gāo (torta chongyang), anche conosciuta come torta dei fiori perché è molto colorata e può avere la forma del fiore del crisantemo. Se ne possono trovare anche a forma di pecora, che in cinese si dice 羊 yáng, stessa pronuncia del carattere 阳 yáng presente nel nome di questa festa.
Ma perché mangiare una torta sostituirebbe la faticosissima attività alpinistica? Semplice, perché in cinese “torta” 糕 gāo si pronuncia come 高 che significa “altezza” e, quindi, mangiarne una fetta garantirebbe lo stesso effetto: insomma ti gusti un buon dolce e guadagni anni di vita, due piccioni con una fava!

E se la torta chongyang non c’è? Allora, scatta il piano C: fuori i bicchieri e giù un po’ di 菊花酒 Júhuā jiǔ, vino di crisantemo dal gusto fresco e dolce che si dice migliori la vista e abbassi la pressione del sangue.
E gli astemi? Non preoccupatevi, è garantita un po’ di longevità anche a loro: due bicchieri di caldo 菊花茶 Júhuā chá, tè al crisantemo, e il gioco è fatto!

Ah, dimenticavo una cosa importante! In Italia il crisantemo ha un significato negativo perché il periodo della sua fioritura coincide con la celebrazione dei defunti ma ricordatevi che in Cina il júhuā 菊花 è simbolo di gioia, pace e vitalità!

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